Sono molte le ipotesi che si sono alternate nella storia, incluso scontrandosi in accese diatribe letterarie. La professoressa Emanuela Kretzulesco Quaranta è la più autorevole propugnatrice dell'autore ALBERTI. In questo sito potrete leggere ...
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"il sogno di Poliphilo" - 5 new articles

  1. L'Autore
  2. L'Acrostico
  3. Il libro in versione originale (se ne avete il coraggio...)
  4. L'Epitaffio di Polia
  5. La storia: L'avventura onirica di Poliphilo
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L'Autore


Sono molte le ipotesi che si sono alternate nella storia, incluso scontrandosi in accese diatribe letterarie.
La professoressa Emanuela Kretzulesco Quaranta è la più autorevole propugnatrice dell'autore ALBERTI. In questo sito potrete leggere sinteticamente le motivazioni che portano la Quaranta a questa conclusione.
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/kretzul1.html

Un saggio interessantissimo e secondo me illuminante, è quello pubblicato da Giovanni Pasetti, dove si analizzano le varie ipotesi da quella dell'Alberti al Feliciano, dall'Accademia di Lorenzo De'Medici a Eliseo da Treviso o Aldo Manunzio stesso per arrivare ai due Francesco Colonna. Ma l'azzardo di Pasetti è Pico della Mirandola.
Consiglio a tutti leggere questo saggio, perchè a parte la teoria di Pico, spazia un po' su tutti i fronti e rende abbastanza l'idea del terreno in cui si muoveva l'autore all'epoca della stesura, possibilmente l'anno 1467.



   

L'Acrostico


Uno dei primi indovinelli ad essere risolti fu l'acrostico, composto dalle prime lettere dei 38 capitoli che compongono il libro: POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT. Questa frase alquanto sibillina si apre a varie interpretazioni... Sicuramente è stata determinante affinchè si assegnasse il titolo di autore a tale FRANCISCUS COLUMNA, Francesco Colonna, pur senza sapere chi fosse in realtà. La frase dice: "Fratello Francesco Colonna che amò intensamente Polia". Che poi Polia può essere anche letto come: "Tutte le cose". Ma anche "Columna" potrebbe non essere inteso come il cognome....

Dal saggio di Giovanni Pasetti, 'Il sogno di Pico':
"L’acrostico, partenza e arrivo
Se si vuol parlare francamente, occorre ammettere che l’acrostico è l’unica voce davvero incontestabile a favore di Francesco Colonna. Senza l’acrostico (POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT) nessuno avrebbe pensato né al frate né al principe. A tal proposito, una ricerca non prevenuta noterà dapprima alcuni particolari finora trascurati. Innanzitutto, se si vuol considerare per intero la serie di lettere ornate che formano le iniziali delle prime parole dei capitoli, sarebbe necessario premettere una M. Da qui parte infatti la dedica del testo a Polia: Molte fiate Polia cogitando... Se pur vogliamo tralasciare questo dettaglio, è inevitabile esaminare meglio alcuni termini usati nella composita frase. Come altri ha già evidenziato, il frater può non riferirsi affatto al confratello di un Ordine. Il misterioso scrittore è un finissimo umanista, che ben sa come nel latino classico frater equivalga a fratello, cugino, associato, amico (l’ultima accezione ad esempio in Giovenale, Orazio, Quintiliano); solo in ambito cristiano, è ovvio, registriamo un’estensione agli appartenenti alle comunità religiose, oltre alla nota formula dei fratelli in Cristo che designa tutti i fedeli.
Ancor più complessa è la genesi del verbo peramare, utilizzato da Cicerone in forma di participio o di avverbio e, in modo pieno, da Stazio nel quarto libro delle Selve: hic mea carmina regina bellorum virago Caesareo peramavit auro. Difficile è la traduzione: ‘‘qui la vergine regina delle guerre (Pallade) amò i miei carmi (tanto da cingerli) con l’oro di Cesare’’. Come in altri casi, il per rende più intensa l’azione, collegandosi ad un ablativo che esprime la cosa con la quale l’azione si effettua (amor crudeli tabe peredit, Virgilio, sol perfundens omnia luce, Lucrezio). Non possiamo credere che l’autore non conoscesse Stazio e che non abbia impiegato la rara costruzione con un preciso intento.
In questa prospettiva, esistono almeno tre interpretazioni dell’acrostico divergenti rispetto alla norma. La prima, proposta da alcuni (Donati), suppone che Francesco sia semplicemente il protagonista a noi sconosciuto della trama amorosa; così, Polifilo sarebbe Francesco, forse Colonna, ma Francesco non avrebbe ideato il Polifilo.
La seconda prevede che COLUMNA non sia un cognome, ma l’ablativo della parola ‘colonna’. Allora, la traduzione corretta suonerebbe: ‘‘L’amico Francesco ha cinto d’amore appassionato Polia con questa colonna.’’ La colonna in questione sarebbe proprio la colonna costruita mediante l’allineamento in verticale delle maiuscole ornate, come avviene per una qualsiasi poesia ad acrostico. E il famoso Francesco si rivelerebbe Francesco Griffo da Bologna, che scolpì le magnifiche lettere e che evidentemente in loro esprime al massimo grado la maestria artigianale di cui si avvale la composizione tipografica dell’Hypnerotomachia. Insomma, avremmo di fronte a noi non la firma dell’autore ma di colui che rese possibile la stampa del testo. Anche il sonetto italiano premesso all’edizione francese del 1546 ci conforta; qui si dice infatti: ‘‘Ecco l’alta Colonna che sostenne / Quel bel typo della memoria antica...’’, ed è certo che il carattere tondo bembino venne sviluppato dal Griffo a partire dalle lapidi romane. D’altronde, nel Virgilio del 1501 Aldo deve lodare Francesco dalle dedalee mani perché è assolutamente consapevole che senza il suo apporto tutta l’ impresa sarebbe naufragata sul nascere. Naturalmente, se accettiamo questa spiegazione dobbiamo anche ammettere che l’acrostico sia stato inventato durante il processo di stampa, separando in modo opportuno i capitoli; nulla di particolarmente impegnativo, se l’edizione parigina, pur essendo in francese, riesce facilmente a riprodurre la frase originale.
La terza interpretazione vede in COLUMNA un’apposizione di FRANCISCUS che darebbe alla frase il senso seguente: ‘‘L’amico Francesco amò Polia (saldamente) come una colonna.’’ Questa ipotesi può essere conciliata con la precedente, ovvero rimandare all’effettivo autore, un Francesco senza cognome. In tal caso, tuttavia, parrebbe più opportuno accettare FRANCISCUS come uno pseudonimo, forse dovuto ai molteplici riferimenti petrarcheschi contenuti nell’opera, oppure relativo a qualche motivo personale alla cui imperscrutabilità dobbiamo rassegnarci. Resta incredibile invece che lo scrittore abbia posto tanta cura nel celarsi, per compromettersi poi con un gioco grafico evidentissimo e assai frequente all’epoca, che infatti venne scoperto agevolmente dalla maggior parte dei primi lettori."
   

Il libro in versione originale (se ne avete il coraggio...)


Esitono moltissimi siti che si occupano del Polifilo.
In questo potrete scaricare la versione Aldina integrale:
http://mitpress.mit.edu/e-books/HP/hyp000.htm
   

L'Epitaffio di Polia


EPITAPHIUM POLIAE

‘Felice Polia, che sei sepolta eppure vivi,
Polifilo, riposando da Marte e dalle sue imprese,
fece sì che tu vegliassi anche assopita.’

‘‘Viandante, ti prego,
fa una breve sosta.
Qui c’è il miropolio,
il negozio dei profumi della ninfa Polia.
Quale Polia, dirai tu?
Quel fiore da cui nasce il profumo di ogni virtù,
meraviglioso fiore che, per l’aridità del luogo,
non può di nuovo germogliare,
malgrado le lacrime sempre nuove di Polifilo.
Ma se tu mi vedessi fiorire,
ammireresti un’immagine che vince in bellezza ogni altra,
e diresti: - O sole, quel che il tuo ardore aveva risparmiato,
l’ombra è riuscita ad uccidere. –
Ahimè, Polifilo, desisti:
un fiore tanto disseccato non rivivrà mai più.
Addio.’
   

La storia: L'avventura onirica di Poliphilo


Polifilo comincia la sua storia, o meglio il suo sogno, descrivendo le prime ore del mattino quando all’improvviso si ritrova irretito in una selva oscura e pericolosa, nell’affannosa ricerca della sua amata Polia.
Cerca di liberarsi tra i rovi fino ad arrivare in una vallata dove una musica soave lo sorprende mentre cerca di pacare la propria sete in un ruscello. Così, quasi dimenticandosi dell'arsura e del suo smarrimento, parte alla ricerca dell’origine di questa musica ammaliante.
Ad un certo punto, stremato dalla stanchezza, si adagia sotto un albero frondoso, si addormenta e comincia a sognare nel suo sogno che si ritrova in un’amena vallata tra due montagne congiunte da una colossale struttura architettonica composta principalmente da una piramide sormontata da un obelisco.
Polifilo descrive le parti di quest’immensa costruzione, ammirando la grandissima capacità e perizia dell’architetto. La piramide colossale, il meraviglioso obelisco, ma anche un cavallo, un colosso supino, un elefante cavo nel suo interiore ed un arco trionfale. Misura l’incredibile simmetria che regna nell’edificio e tutti i suoi componenti, descrivendone i minimi dettagli.
Polifilo entra nell’edificio attraverso una bellissima porta finemente lavorata e, non appena inoltratosi all’interno, un terrificante drago appare alle sue spalle impedendogli ogni possibilità di tornare indietro.
Comincia così a correre a più non posso preso da un tremendo panico attraverso un buio tunnel. Per fortuna trova un’uscita e si ritrova di fronte un paesaggio bellissimo ricco di lussureggiante vegetazione.
Così descrive le bellezze del luogo fino a giungere innanzi ad una fontana incredibilmente elegante. È qui che incontra cinque ninfe che, sorprese di vederlo, lo invitano a farsi il bagno con loro. Polifilo incredulo le segue descrivendo nei più piccoli dettagli tutto ciò che lo circonda incluso la fontana. Così Polifilo nella fonte partecipa ad un’orgia con le ninfe.
Più tardi le ninfe lo conducono al palazzo della loro regina Eleuterillide che, ovviamente, descrive nei minimi particolari. Qui può ammirare dipinti i pianeti disposti in modo da ottenere l’armonia celeste delle sfere. Subito viene invitato a partecipare ad un banchetto organizzato in suo onore. Infine assiste ad un ballo eseguito come fosse il gioco degli scacchi.
Anche se con estrema vergogna per il suo aspetto da povero mendicante, si presenta alla regina la quale conosce già la ragione del suo viaggio, e così gli concede come guide due tra le più belle ninfe della sua corte, Telemia e Logistica, affinchè lo accompagnino nel resto del percorso attraverso il suo regno.
Telemia, che rappresenta il ‘cuore’, l’istinto, e Logistica, che rappresenta il ‘cervello’, la razionalità, lo conducono attraverso una serie di bellissimi ed originalissimi luoghi pregni di allegorie: un giradino di cristallo, fiori di diamanti, un labirinto d’acqua con pericolose torri. Al termine del percorso si trovano di fronte alle tre porte: Gloria Mundi, Gloria Dei e la centrale, Mater Amoris. La prima porta rappresenta i piaceri terreni, la seconda la spiritualità e la terza il raggiungimento della divinità attraverso l’amore, ‘vita voluptuosa’. Dopo aver incontrato i rispettivi guardiani decide di accedere in quella centrale, ‘aurea mediocritas’.

Non appena entrato, trova una bellissima ninfa che gli viene incontro per dargli il benvenuto. La descrive dettagliantamente, tanto viene colpito dalla sua avvenenza. Con una torcia accesa in mano, lo invita a seguirla. Polifilo si eccita e sente che si sta già innamorando di lei.
Polifilo ha la sensazione di conoscerla già ed effettivamente non si rende conto che lei è proprio la sua amata Polia che sta cercando dall'inizio del sogno. Lo conduce attraverso una gioiosa ed affollata processione di carri trionfali. Una folla di festanti ninfe e satiri ballando e suonando i più diversi strumenti musicali, dei e semidei si susseguono in una parata di carri trainati dai più incredibili animali come elefanti o unicorni; può ammirare addirittura il divo Giove sotto le sembianze di un cigno o lo stesso Eros.
Polifilo, nonostante si attardi nell’ammirare i carri ed i personaggi presenti, riflette sul fatto che si sia oramai innamorato di quella ninfa e che oramai Polia non significa più nulla per lui. Così decide di dichiarare il suo amore e così scopre la sua vera identità.
Polia lo conduce, accopagnati da molte altre ninfe, in un tempietto dove li attende una sacerdotessa. Polifilo viene invitato a spegnere la torcia di Polia nella fonte del tempio. Così inizia il rituale di unione tra i due giovani amanti. Vengono sacrificate tortore e cigni ed assistono ad un’apparizione di uno spiritello che rappresenta Cupido. Così Polia e Polifilo celebrano la loro congiunzione con al benedizione degli dei e della somma sacerdotessa.
Finito il rituale, uscendo dal tempio si ritrovano tra le incredibili vestigia di una grande civiltà oramai decaduta. Polia, sapendo che avrebbero dovuto attendere fino al tramonto, persuade Polifilo ad inoltrarsi da solo tra le rovine e leggere alcune delle epigrafi presenti tra gli antichissimi resti dei templi. In realtà Polifilo sta camminando nel cimitero degli amanti perduti.
Dopo averne lette varie, alcune molto poetiche altre commoventi e tristi, arrivato di fronte ad un’iscrizione che racconta il ratto di Proserpina, pensa che sia un segnale divino e che allontanandosi abbia perduto anche lui la sua amata. Spaventato torna correndo da lei, che nel frattempo si era seduta in riva al mare in attesa della nave chi li avrebbe portati all’isola di Citera per sugellare definitivamente la loro unione d’amore.
Quasi al tramonto arriva la barca condotta da Cupido e remata da ninfe che durante la traversata cantano con grandissima armonia insieme a Polia. Dopo aver descritto la nave ed il suo divino nocchiero che non riesce a guardare direttamente tanto è accecato dalla sua sacrale bellezza, giungono a Citera accolti da altre ninfe festanti.
I due amanti sono attesi da una processione trionfale. Polifilo è affascinato dall’isola, che descrive minuziosamente, e dai suoi magnifici giardini divisi da siepi concentriche. Vengono legati ai polsi e condotti fino al cuore dell’isola, in uno spettacolare anfiteatro nel cui centro si staglia una splendida fonte ed una tenda. Quindi, appare la divina Venere che ordina silenzio alla folla festante. La diva madre consegna Polia a Polifilo e Cupido procede nel porgerle due frecce, una d’oro ed una di piombo. Polia ha paura e Polifilo così, facendosi coraggio, prende la freccia dorata e squarcia la cortina. I due giovani si lavano nella fonte e vengono rivestiti, fino a quando arriva Marte che con fare guerresco si disfa della propria corazza e si congeda con Venere.
Allora la corte di ninfe e satiri accompagnano Polia e Polifilo alla sacra fonte, sepolcro del divino Adone. Le ninfe, intorno a Polia, la supplicano di raccontare la sua storia.
Così comincia il suo racconto, parlando delle sue nobili origini trevigiane e che, a seguito di una pestilenza, fa un voto e decide di entrare nell’ordine della dea Diana, rispettando la castità assoluta.
Così vede per la prima volta e per casualità in un tempio Polifilo, il quale si era innamorato follemente di lei ma, in obbedienza al suo voto, lo respinge.
Polifilo, consumato dal dolore dopo numerosi rifiuti, muore e Polia resasi conto di ciò che ha provocato, sviene e ha una visione, in cui scappa correndo fino ad essere portata via dal vento nel bel mezzo di una foresta dove assiste al massacro di due ragazze da parte di Eros punite per avere rifiutato l’Amore. Vede con orrore come i corpi delle due giovani vengono mutilati dal dio ed i pezzi inerti delle membra dati in pasto alle bestie della foresta. Così Polia, tornata in se, racconta tutto alla sua nutrice la quale le consiglia di lasciare il culto di Diana e dedicarsi a quello, più consono, di Venere.
Polia così torna nel tempio e trova Polifilo dove l’aveva lasciato ancora privo di sensi. Così lo bacia e miracolosamente ritorna in vita.
Polia conclude il suo racconto dicendo che alla fine si presenta al cospetto della grande sacerdotessa per confessare il suo amore per Polifilo.
Allora anche Polifilo racconta come al principio era stato trattato con crudeltà da lei che neanche si degnava di rispondere alle sue suppliche d’amore e alle lettere che le scriveva. E per questo arrivò a morirne. Racconta come il suo spirito abbandonò il suo corpo per vivere un’esperienza divina gratificante. Anche lui descrive il bacio di Polia al suo risveglio.

Finiti i racconti, Polia dichiara il suo amore corrisposto al cospetto della sacerdotessa.
Polifilo le pone una corona di fiori sul capo e le da un tenero bacio. Le ninfe a questo punto decidono di ritirarsi e lasciare gli amanti nella loro intimità.
Finalmente Polifilo e Polia sono soli, ma non appena si toccano le labbra lei svanisce nel nulla e Polifilo si desta dal sogno.
Triste per l’epilogo e amareggiato perché il sogno fosse durato troppo poco, meladice il sole che, invidioso, ha fatto finire la notte e tutte le sue speranze d’amore.
Ciò che resta è l’epitaffio nella tomba di Polia.
   

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